CollezioneReliquiariCofanettoAutore: Bottega arabo-siculaData: XII secoloDimensioni: 12 x 7,5 x 8 cm.Tecnica: Avorio dipintoProvenienza: Martirano |
La scatola di forma rettangolare con coperchio troncoconico, è realizzata con l'assemblaggio di sottili lamine d'avorio, connesse l'una all'altra da piccole zeppe anch'esse d'avorio. Tre barrette di bronzo fungono da rinforzo e diventano elementi decorativi con l'elegante soluzione dei terminali lanceolati; le due laterali mantengono le cerniere e la centrale si conclude con la chiusura a serratura. Nell'interno è rivestita con originaria tela di lino. All'esterno la decorazione pittorica è data da figure delineate da un sottile tratto nero, campite con delicata coloritura. Medaglioni circolari contengono sul lato frontale arabeschi a paimette e uccelli addorsati e sul lato posteriore un felino ed un pavone; animale ripreso anche nei laterali. Sul retro sono ancora rappresentati due uccelli addorsati in campo libero e due arabeschi occupano i fianchi del coperchio. Una scrittura araba si sviluppa lungo la cornice anteriore. Elementi secondari, come la seghettatura che segue i bordi del coperchio, cerchietti e finte graffe agli spigoli, arricchiscono la decorazione che, nell'insieme sobria ed elegante, risulta da rigorosa geometria e figure che stilizzano con libertà espressiva elementi naturali. L'oggetto, chiaro esempio di arte islamica, appartiene alla categoria degli avori che secondo il Kuhnel, il Cott e Pinder-Wilson, furono prodotti in botteghe arabo-sicule tra i secoli XI e XII; ma per questo, lametino, la datazione più attendibile è il XII secolo. Il cofanetto trova riscontri formali e decorativi con quello del Museo di Capodimonte a Napoli e con uno della Cattedrale di Anagni; ma con un cofanetto del Tesoro della Cattedrale di Veroli presenta tali affinità da poter ipotizzare che ambedue provengano da una stessa bottega, eseguiti dal medesimo artigiano. Queste scatole, finalizzate a contenere canfora o aloe, piccoli gioielli o monili, erano segno di galanteria offrirle in dono a personaggi di rispetto o ad una persona amata, e certamente interessarono ambienti di corte o dell'alta borghesia. Non completamente risolta è l'interpretazione della frase per l'abrasione e la poca chiarezza di alcuni caratteri. Secondo il Prof. Fathi Makoloril, tradotta come "ti offro la coda di questo, disse all'amico" conferirebbe al dono, contenuto nella scatola, un senso tra l'ironico ed il sarcastico e troverebbe giustificazione nella evidente ripetizione di uccelli dalla vistosa coda e dall'accentuato andamento di quella del felino. Non si ha documentazione di come o quando questo avorio sia arrivato a Martirano e si possono fare solo ipotesi su due personaggi che risiedettero in questa città e che ebbero rapporti con la corte normanno-sveva. Uno è Enrico Kala, conte di Martirano e luogotenente di Ennco VI, che tra il 1197 ed il 1220 visse nel castello di Martirano. L'altro è Leone Filippo de Matera, Vescovo di Martirano tra il 1218 ed il 1237, che ricopre la carica di Consigliere e Gran Cancelliere di Federico II, con il quale partecipa alla consacrazione della Cattedrale di Cosenza nel 1222. L'oggetto, già pregevole per le sue qualità artistiche, assume particolare valore come raro reperto documentale, in terra calabra, dei rapporti intercorsi tra cristiani ed arabi nell'età normanno-sveva, rapporti che si tradussero in produzioni artistiche d'alto livello e che concorsero, soprattutto, alla formazione storica del popolo calabrese. |
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